Oggi
per ioalleno.com abbiamo il piacere di intervistare Flavia, amministratore
della pagina Facebook “Il mancino del Chino Recoba”. Prima domanda: chi c’è dietro questa idea?
Nell'estate di 3
anni fa ho incominciato a ripensare a quando da bambina giocavo a calcio nel
salotto di casa immaginando di poter giocare con Recoba o addirittura di poter
essere come lui. Spesso leggevo commenti di gente che nutriva nei confronti del
Chino lo stesso affetto e la stessa nostalgia che avevo io. Ho pensato che
poteva essere bello riuscire a riunire tutti coloro che avevano questa passione
e quindi creai la pagina. All'inizio ero un po’ sfiduciata, perché era
difficile imporsi nei social network, in particolare su Facebook. Oggi mi
ritengo abbastanza soddisfatta e non solo per il numero di follower, ma anche
per il rapporto che ho instaurato con alcuni dei miei seguaci.
Da dove nasce il titolo della
pagina?
A farmi questa domanda sono spesso gli stranieri, in particolare i
sudamericani. Per i non italofoni è difficile capire il gioco di parole e il
significato del nome della pagina. Nel 2017 andavano molto di moda i titoli
delle pagine in rima, soprattutto quelle calcistiche. Il titolo originale era
“Ha segnato col mancino Alvaro Recoba detto il Chino”. Nel momento in cui aprii
la pagina su Instagram il nome era troppo lungo e dispersivo, così lo accorciai
in “Il mancino del Chino Recoba”, che però su Instagram è presente con
l’username @il_mancino_del_chino.
Recoba festeggia il 3-2 dell'Inter in rimonta contro la Sampdoria |
E ora parliamo di lui: Recoba.
Qual è il primo ricordo che hai del Chino?
Sono sempre stata tifosa dell’Inter ma quando ero molto piccola non mi piaceva
molto il calcio. A 5/6 anni incominciai a guardarlo e a conoscere i nomi dei
calciatori. Vidi Recoba e il suo stile di gioco e decisi che quello sarebbe
stato il mio punto di riferimento. L’ho sempre adorato, anche quando in partita
era svogliato ed inconcludente. Il 9 gennaio 2005 ero sul divano di casa mia a
guardare “Quelli che il calcio” come tutte le domeniche ed ero molto triste,
perché l’Inter perdeva 2-0 contro la Sampdoria e la partita stava quasi per
finire. Dopo la rimonta incredibile e la vittoria finale ero talmente felice
che il giorno dopo convinsi mia madre a comprare la “Gazzetta dello sport” per
avere per sempre un ricordo palpabile di quella partita assurda.
Dopo Danubio e Nacional
Montevideo Alvaro si trasferì in Italia e l’esordio con la maglia dell’Inter fu
devastante: due gol da fenomeno contro il Brescia. Era il 31 agosto
1997, fu amore a prima vista per i tifosi?
Sì, per molti sì! Ogni anno ricevo un sacco di messaggi di gente che mi scrive
che era allo stadio quel giorno e che da allora lo ha amato alla follia. “Tutti
si aspettavano Ronaldo e invece” mi scrivono spesso. Io non posso ricordarlo,
purtroppo, ero troppo piccola. Rivedo spesso quelle immagini, la gente mi invia
spesso i goal del Chino, soprattutto i più belli. Sono fan del Chino, ma non fu
determinante quella partita.
Poi lentamente qualcosa non
funzionò e nel mercato di gennaio del 1999 il Chino si trasferì a Venezia dove
fu decisivo per la salvezza dei lagunari. Furono ben 10 le reti in 19 partite.
Come ti spieghi questa cambio di rendimento?
Il campionato 1998/1999 dell’Inter fu un fiasco e Recoba giocò pochissimo. Giocare
a san Siro, in una squadra blasonata come l’Inter, davanti ad 80.000 mila
spettatori può dare grande carica, ma anche demoralizzare chi non ha
l’esperienza per reggere un pubblico esigente come quello nerazzurro. Moratti
comprese l’esigenza di far maturare Recoba da questo punto di vista ed
acconsentì al prestito. Fu proprio l’attuale amministratore delegato nerazzurro
Beppe Marotta a fiutare l’affare e a volere Recoba al Venezia. Il Venezia era
in crisi di gioco e di risultati. Nella città lagunare aveva la possibilità di
giocare sempre ed avere un ruolo dominante nell’attacco veneziano. All’Inter
c’era la fila di campioni (Ronaldo, Zamorano, Baggio, ecc) e non avrebbe mai
avuto molte opportunità per mettersi in mostra. A Venezia trovò poi un
particolare feeling con il suo compagno d’attacco Pippo Maniero, che fu
determinante per la salvezza della squadra di mister Novellino.
Recoba con la maglia del Venezia fu decisivo per la salvezza dei lagunari |
Il ritorno all’Inter fu positivo:
10 gol in campionato e qualificazione dell’Inter ai preliminari di Champions
League poi l’errore decisivo dal dischetto nel preliminare di Champions League
contro l’Helsinborg e il coinvolgimento nello scandalo passaporti frenò
nuovamente la carriera dell’uruguaiano: fu uno stop decisivo per Recoba questo?
“Recoba non è stato il migliore al mondo perché non l’ha voluto” disse di lui
Juan Sebastian Veron spiegando bene perché il Chino non aveva dato il meglio di
sé nella sua carriera. Era una questione di volontà e testa. Gli episodi
negativi non contribuirono, però, in meglio. La partita contro l’Helsinborg,
infatti, non fu sicuramente d’aiuto al morale del Chino. È sempre stato un
giocatore lunatico e gli eventi negativi che ha vissuto (il rigore contro
l’Helsinborg, la squalifica per lo scandalo dei passaporti e l’ultima partita
di campionato contro la Lazio su tutti) non ebbero un impatto positivo sulla
sua militanza all’Inter. Fu spesso al centro di critiche severe da parte dei
tifosi per la sua indolenza e per la mancanza di incisività nei momenti
fondamentali.
L’ultima parentesi neroazzurra non entusiasmò ed ecco una nuova opportunità: il Torino. Poteva essere il
rilancio invece le reti furono veramente poche. Come mai secondo te non andò
come a Venezia?
Non si instaurò un grande rapporto tra lui e la società granata. Recoba, forse,
era già con la testa fuori dall’Italia e dopo oltre dieci anni sognava di
tornare in patria. Per gli uruguaiani funziona un po’ come per i brasiliani,
perché sentono la nostalgia del loro paese, della loro gente, della loro
famiglia.
Nel suo ritorno in Uruguay (Danubio
e Nacional) il Chino fu ancora decisivo e dopo il secondo titolo uruguaiano in
tre anni arriva il ritiro con una partita d’addio da brividi. Cosa ricordi di
quel match?
C’è un fuso orario di 5 ore tra l’Uruguay e l’Italia, perciò non seguii in
diretta l’addio ma vidi i video e le foto. C’era tanta gente che piangeva e che
voleva dirgli grazie per quegli anni indimenticabili. Recoba meritava tutto
questo. Il popolo bolso poi, dopo la
vittoria del campionato grazie ad una sua punizione all’ultimo secondo contro
gli acerrimi rivali del Peñarol, lo venerava come un Dio. Recoba era l’”ultimo
genio” del calcio uruguaiano, un giocatore che ha segnato un’epoca per tanti
uruguaiani.
"El Chino" saluta la sua gente durante la partita di addio al calcio |
Moratti diceva che “Recoba è
sempre rimasto un sogno: tu lo mettevi in campo e sapevi che poteva farti in
ogni momento la cosa più bella che avevi mai visto”. Era il pensiero di tutti i
tifosi neroazzurri?
Il mio sicuramente. Certamente se mi chiedessero di stilare una mia formazione
ideale il Chino ci sarebbe sempre e comunque. Recoba aveva la qualità e il
talento per essere un grande giocatore. Aveva un mancino prodigioso, che poteva
risolvere la partita in qualsiasi momento. Doveva volerlo lui però.
Tra i tanti giocatori
sudamericani che hanno vestito la maglia neroazzurra quale ti ha più
entusiasmato? E quale meno?
Ho dei bei
ricordi di diversi giocatori sudamericani. In primis non posso non menzionare
il capitano Javier Zanetti. Ho sempre apprezzato la sua dedizione e la sua
passione per i nostri colori. Ha sempre lottato per portare l’Inter in alto e
si è meritato di vincere tutti i trofei che ha vinto. Un altro argentino che mi
piaceva molto è “Valdanito” Hernan Crespo. Era veramente letale in area di
rigore, poi nella prima stagione all’Inter ebbe un buonissimo feeling col
Chino. Ho anche avuto l’opportunità di incontrarlo dal vivo e di farmi
autografare la sua maglia. Se devo citare qualche brasiliano direi sicuramente
Adriano e Maicon. Feci comprare a mia madre anche la “Gazzetta” post
Inter-Udinese in cui Adriano segnò una fantastica doppietta con due bombe
mancine imparabili. Era un vero imperatore Adriano, ma anche lui, come Recoba,
non è riuscito a reggere la pressione dei grandi campioni. Lui e il Chino sono
stati forse i più grandi rimpianti nerazzurri. Di Maicon invece mi piacevano le
sue cavalcate instancabili sulla fascia. Poi anche lui aveva un gran talento
per i tiri dalla distanza.
Ci sono state tante delusioni in questi anni ma quella più cocente è stata
quella di Diego Forlan. Compagno del Chino ai tempi della nazionale, Forlan
aveva disputato ottime stagioni con la maglia dei Colchoneros e uno
straordinario mondiale con la maglia uruguaiana. Poteva avere un rendimento
elevato, ma forse l’età avanzata, l’adattamento ad una nuova squadra e ad un
nuovo campionato non gli resero la vita facile. In realtà non ci sono stati
tanti uruguaiani a rendere bene con la maglia dell’Inter. Gargano, Pereira,
Carini, Sorondo, Pacheco e tanti altri hanno avuto un pessimo rendimento.
Un’altra cocente delusione è stata quella per Philippe Coutinho. Aveva fatto
intravedere il suo grande talento, ricordo una bellissima punizione contro la
Fiorentina, ma poi era stato ceduto troppo frettolosamente dalla società che
all’epoca doveva ripianare i suoi conti. Chissà cosa avrebbe potuto fare se
fosse rimasto. Un vero peccato.
Il calcio sudamericano ti ha
sempre appassionato? Qual è la differenza più grossa con il calcio europeo?
Non seguo molto
il campionato sudamericano, seguo soprattutto il Nacional di Montevideo,
squadra in cui ha militato Recoba e di cui (sembra) fosse anche tifoso. È una
bella squadra, ma decisamente non di livello se paragonata al calcio europeo. Il
Nacional, come molte squadre sudamericane, ha problemi finanziari ed è forse
questo il fattore di divisione più importanti tra le due realtà calcistiche.
Inoltre c’è una concezione diversa di calcio in Sudamerica. Gli schemi, le
tattiche, le marcature non sono così importanti e la qualità del gioco è
decisamente inferiore. È la passione che viene messa in risalto. In Europa,
forse, siamo più razionali e più attaccati alla tattica di preparazione delle
partite.
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