INTERVISTA AL MENTAL COACH CASSARDO: "ZERO PRESSIONI E ZERO GABBIE TATTICHE. LASCIAMO DIVERTIRE I RAGAZZI"


Oggi abbiamo l'onore di parlare con Marco Cassardo, mental coach ed esperto in psicologia sportiva che lavora nel mondo del calcio ed è l’autore di “Campioni si diventa” (Cairo Edizioni), libro imprescindibile per chiunque sia interessato al tema dell’allenamento mentale.
Partiamo con la prima curiosità: come si svolge il tuo lavoro di Mental Coach con i tuoi atleti?

Il lavoro con i miei calciatori è fatto di tante cose: sessioni, chat, sintesi scritte, invio di link relativi a materiale audiovideo. Per semplificare, diciamo che si fa una sessione on line o dal vivo della durata di un’ora e mezza circa una volta ogni tre settimane. Ma tra una sessione e l’altra si rimane in costante contatto via whatsup. A differenza della psicoterapia, il coaching sportivo, perlomeno per come lo intendo io, necessita di un rapporto più stretto e di minore formalità.  Inutile aggiungere che vedo in tivù o allo stadio quasi tutte le partite dei miei ragazzi.



Come si diventa mental coach? E come questa tua passione si è tramutata in lavoro?

Non ci sono percorsi specifici. Il mio consiglio è innanzitutto quello di laurearsi. La stragrande maggioranza dei mental coach è priva di laurea e ciò, giustamente, ha gettato discredito sulla categoria. Va bene qualsiasi laurea, anche se per ovvi motivi sono preferibili le lauree umanistiche. Dopo la laurea è fondamentale svolgere percorsi seri di formazione, come ad esempio quelli predisposti dall’ICF (International Coach Federation), la più grande associazione di coach del mondo. Nel mio caso mi sono laureato in giurisprudenza, ho fatto il giornalista per vent’anni e poi dieci anni fa ho mollato tutto per il coaching sportivo conseguendo vari titoli nelle aree del coaching e della PNL e diventando Esperto in Psicologia dello Sport con un master svolto all’Università di Torino. Attualmente sono iscritto a Psicologia e credo di laurearmi tra un anno. Non esistono scorciatoie, per non essere dei ciarlatani bisogna studiare, capire di sport e frequentare i campi di calcio.

Per quanto riguarda il calcio, quanto è fondamentale o difficile collaborare con lo staff tecnico?

Sarebbe fondamentale ma è difficilissimo. In Italia siamo molto indietro, regna ancora l’idea che la figura del mental coach possa fare ombra a quella dell’allenatore. I tecnici hanno paura di perdere autorevolezza se nello staff entra un mental coach, e quindi preferiscono fare da sé o farsi aiutare dall’amico dell’amico che magari, con tutto il rispetto, fa il barbiere. Fino a che le squadre di calcio non capiscono che così come si allenano la tecnica, il fisico e la tattica è necessario anche allenare la mente, rimarremo fermi al palo. Nella mia carriera ho conosciuto un solo allenatore veramente illuminato, Ezio Rossi, con il quale qualche anno fa ho lavorato benissimo a Casale. Anche Longo, l’attuale allenatore del Torino, è un ragazzo molto intelligente e attento alla dimensione psicologica.

Nella foto a destra Marco Cassardo, a sinistra Leonardo Mancuso, vicecannoniere con 19 gol dello scorso campionato di Serie B con il Pescara e attualmente giocatore dell'Empoli

Che differenza c'è a livello mentale dal calcio rispetto ad uno sport individuale?

La differenza è grande perché negli sport di squadra esiste la dimensione relazionale. C’è un gruppo con il quale si ha a che fare tutti i giorni: compagni, allenatore, staff. Anche negli sport individuali esiste la figura dell’allenatore, ma non esiste la dimensione dello spogliatoio. E in uno spogliatoio, come in qualsiasi luogo di lavoro, è necessario imparare a gestire simpatie, antipatie, invidie, aggressività. Diciamo che nello sport di squadra i sentimenti con cui si viene a contatto sono più numerosi.

Come cambia l’approccio in base al tipo di calciatore con il quale inizi a lavorare? Età, categoria, settore giovanile o Serie A, cosa cambia? 

Meno di quanto si pensi. Che si tratti di un giocatore di Serie A o di Serie C, si tratta sempre di ragazzi la cui età vai dai 20 ai 30 anni. Ovvio, i giocatori più affermati sono alle prese con pressioni maggiori legate ai media, ai tifosi, alle aspettative dell’ambiente, ma cosi come capita nelle serie minori, anche in Serie A un giocatore può essere oppresso dall’ansia di sbagliare la prima palla della partita o dal timore di prendere iniziative o dal terrore di battere un calcio di rigore. Diverso il discorso dei ragazzi più giovani, i quali sono in fase di formazione anche a livello di identità. Devo però dirvi che da qualche anno ho deciso di lavorare soltanto con i calciatori di età non inferiore ai 17 anni perché credo che fino ad allora l’unica cosa davvero importante sia quella di divertirsi e di non pensare a nient’altro.

Nella foto Marco Cassardo con la maglia della Nazionale di calcio Scrittori in cui gioca da 10 anni e con cui ha conquistato tre titoli europei

Quanto conta lavorare sulla testa dei giocatori in questo momento di emergenza nazionale e stop dell'attività sportiva?

Come sempre, né più né meno di quando si scende in campo. Il problema è più vasto e non è circoscritto a momenti specifici: la forza mentale va allenata sempre, così come la condizione fisica.

Un consiglio agli allenatori, anche amatoriali, che lavorano con 2-3 allenamenti a settimana? Come si può lavorare sulla testa dei ragazzi e come?

Zero pressioni, lasciarli divertire, correre, creare, inventare. Zero pressioni e zero gabbie tattiche. Divertimento, passione, amicizia e rispetto di regole e compagni. Tutto il resto non conta. Il termine “amatoriale” e il termine “dilettante” derivano da sostantivi come “amore” e “diletto”. Ecco, non dimentichiamolo mai altrimenti facciamo confusione.

Commenti

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